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NELLE TERRE SELVAGGE
(INTO THE WILD)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 febbraio 2008
 
di Sean Penn, con Emile Hirsch, Marcia Gay Harden, William Hurt, Jena Malone (Stati Uniti, 2007)
 
Come non condividere le idee di questo celebre attore e ottimo regista, che sono poi quelle del protagonista di INTO THE WILD? Come non indossare il significato dell'odissea, autentica, tratta dal romanzo di culto di Jon Krakauer, di quel giovanotto poco più che ventenne, fresco laureato di Harward che pianta tutto in asso, carriera ed affetti, benessere e telefonini per affondare nell'ordine naturale più selvaggio ed assoluto, nell'immensità di quel territorio americano che da sempre costituisce la fondamenta di tutto un senso della società, della cultura, dei comportamenti di chi ci vive; in un assoluto esistenziale che finirà (tanto vale dirlo subito, visto che il film da lì si diparte, per costruirsi poi a colpi di flash back nel tempo e nello spazio) per carpirgli la pelle?

Come il suo autore, come il suo protagonista INTO THE WILD è un film onesto e generoso. Un film che si butta, qualcuno dirà sconsideratamente, a capofitto nella purezza che sappiamo offerta dalla Natura, nella salutare evasione dalla mortificazione della routine quotidiana offerta dal Viaggio. E nelle riflessioni che ne conseguono, culturali e filosofiche (le letture incessanti del bravo ragazzo), politiche (Bush appare di tanto in tanto sullo sfondo), addirittura sull'esistenza, e la consolazione di Dio.

Ma un film che ha anche l'intelligenza di confrontarsi ai limiti che incontrano questi slanci idealistici quando si tratta di metterli in pratica. Così, quando il film interrompe a ritroso le sontuose e sfrenate escursioni dall'Alaska al Golfo del Messico del giovane per riandare ai suoi incontri (i suoi dubbi) tipici di quel genere di fuga da una civiltà malata: oltre ai genitori tradizionalmente e quasi ovviamente aridi, ambigui se non proprio ottusi, gli esponenti di una sorta di folclore rurale o di emarginazione urbana, la coppia di hippie simpatica ma non proprio all'unisono, il vedovo ritirato in solitudine a lavorare il cuoio, l'agricoltore moderno e approfittatore, gli edonisti danesi in kayak, i senza tetto di Los Angeles.

Tutto bello e pulito, come la faccia di Emile Hirsch, il giovane protagonista; e di tutte le altre scelte fin troppo esemplari del cast. Ma è quando il sempre determinante “come” tutto questo ben di Dio viene progressivamente a galla nelle troppo lunghe e ripetitive due ore e mezza che il film arrischia di scivolare: nel senso di una declamazione simpatica, anche utile ma fin troppo evidente. I panorami splendidamente spalancati sull'Infinito delle vette innevate o dell'orizzonte marino, l'edonismo dei girotondi panteisti di Supetramp sugli altipiani sterminati, lungo i fiumi incontaminati, nel profondo dei canyon o sul limitare dei deserti sterminati rendono perfettamente l'idea. Ma in quello stile spettacolarmente e facilmente impressionista di Penn, a colpi di trasvolate in elicottero, panoramiche Marlboro e goccioline al rallentatore molto minaccia di sconfinare nel moralismo se non proprio nell'infantilismo

Fortuna per il film, è nella conclusione drammatica e commovente, in quella fine delle illusioni che il film riacquista il senso dell'assoluto così a lungo rincorso. In quella frase tratta dal libro che la riassume con una concisione che il film non possiede, “la felicità è reale solo se condivisa”.


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